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Ancora una volta la libertà dei popoli divide gli schieramenti politici internazionali: sembra paradossale, ma le alleanze sono ormai consolidate e dalla parte della libertà e dell’autodeterminazione si schiera la sola Russia di Putin, mentre contro il riconoscimento di una festa nazionale per i serbi di Bosnia resta fermo il blocco “democratico” formato da Unione europea, Stati Uniti e Turchia.
La questione serba non va presa alla leggera, la storia dei sanguinosi conflitti balcanici lo testimonia. Eppure proprio coloro che sventolano lo spauracchio del conflitto stanno piantando i semi della discordia, impedendo a un popolo, quello serbo-bosniaco di ottenere il pur minimo riconoscimento culturale, sancito democraticamente da una consultazione popolare. Tutto ciò avviene mentre la Bosnia sta divenendo una colonia dell’islam, che scansa via via da vaste porzioni di territorio le altre etnie. Riporto di seguito un articolo a riprova di quanto ho spiegato brevemente.
Bosnia, minoranza serba dice sì al referendum che preoccupa i Balcani e l’Ue
La consultazione per salvare la “Festa dell’identità” rischia di alimentare nuove tensioni. Putin appoggia l’iniziativa del leader nazionalista Dodik, malgrado le pronunce di incostituzionalità e gli allarmi lanciati dal governo di Sarajevo. I Sì quasi al 100 per cento
BELGRADO – Ore cruciali per il futuro della pace nei Balcani, da secoli calderone di tensioni letali per l’Europa e il mondo intero. In Bosnia-Erzegovina i cittadini dell’etnia serba sono andati a votare per un referendum che chiede loro di dire sì al mantenimento della festa nazionale del 9 gennaio, “Festa nazionale e dell’entità statale”. Scontato l’esito sin dall’inizio, confermato poi dai risultati reali: sì al 99,8 per cento e un’affluenza alle urne che dovrebbe attestarsi intorno al 60 per cento.
Il promotore dell’iniziativa, che secondo il governo bosniaco è una provocazione contro l’unità dello stato, (la Corte costituzionale di Sarajevo ha definito il referendum illegittimo) è il leader carismatico dei serbi di Bosnia, Milorad Dodik.
Non è uno statista giovane e moderno, liberal ed europeista come è invece il capo del governo della Serbia, Aleksandar Vucic, riconfermato al potere a Belgrado dalle elezioni di aprile, e che ha sconfessato il referendum. No, Dodik è molto più vicino agli ultranazionalisti russofili e antioccidentali nostalgici di Slobodan Milosevic, il responsabile della fine della Jugoslavia. E quel che è peggio, purtroppo e a sorpresa, il presidente russo Vladimir Putin – la Russia è storicamente amico protettore e riferimento della Serbia – non si è schierato con la Belgrado modernizzatrice di Vucic, bensì col falco Dodik. “Il referendum è un loro diritto”, ha detto.
Tremano i governi del mondo intero: fin troppi sono i ricordi nella Memoria d’Europa, che ci dicono che ogni volta che le grandi potenze si confrontano o scontrano tra loro ‘per procura’ nei Balcani accade il peggio. Basta ricordare l’attentato di Sarajevo nel 1914, una delle cause della prima guerra mondiale.
La situazione è complessa. Difficile se non impossibile disinnescare i conflitti. Tra le repubbliche dello Stato federale creato dal leader della Liberazione, il maresciallo Tito – la Jugoslavia relativamente prospera e competitiva, il più ‘soft’ regime comunista mai visto al potere, che fu fattore di stabilità nei Balcani – la Bosnia-Erzegovina è la situazione più delicata. Poco più di 3 milioni di abitanti, 1,2 milioni dei quali serbi, maggioranza croata e musulmana politicamente alleata. Convivenza ardua, che dopo la morte di Tito non riuscì più. Al suo posto fu Slobodan Milosevic, ultranazionalista serbo con contatti economici dubbi col crimine, a comandare a Belgrado capitale federale, allora pensando – disse l’ultimo presidente jugoslavo, Stipe Mesic – “a una Grande Serbia”. Incoraggiate con dubbio senso di responsabilità dalla Germania di Kohl e Genscher, Slovenia e Croazia scelsero la secessione. Cominciò la guerra più sanguinosa in Europa dopo il 1945.
Milosevic rinunciò alla Slovenia. Ma ordinò contro Croazia, e poi contro Bosnia, guerre spietate, stupri di massa, pulizie etniche. Appoggiato in Bosnia dai falchi della minoranza etnica locale. Odio e violenze degli uni chiamarono odio e violenze degli altri. A Srebrenica e nell’assedio della capitale bosniaca Sarajevo, l’esercito dei serbi di Bosnia appoggiato da quello di Milosevic massacrò migliaia di civili. Dagli accordi di Dayton (1995) dopo l’intervento militare occidentale nacque una Bosnia indipendente: convivenza per amore o per forza tra croati, musulmani, serbi. Poi la guerra continuò nel Kosovo a maggioranza albanese. Nuovo intervento Nato molto più duro, alla fine rivoluzione democratica a Belgrado, caduta di Milosevic, fine della Jugoslavia.
Questo è il background. Dopo di allora, si è costruita nei Balcani ex-jugoslavi una fragile stabilità: Slovenia e Croazia in Ue e Nato come l’Albania ora pragmatica col leader Edi Rama ma da sempre antiserba; Bosnia filooccidentale, Montenegro tentato dall’ingresso nella Nato, Macedonia in crisi endemica con lo scontro di presidente e premier contro opposizioni che li accusano di ipercorruzione sistematica. Croazia in Ue e Nato, ma dove le nostalgie del passato regime collaborazionista ustascia del Poglavnik (Duce) Ante Pavelic crescono, Croazia che spesso si oppone attivamente ai negoziati avviati tra Vucic e la Ue per un ingresso serbo nell’Unione europea. Di cui Belgrado, decisa a restare neutrale cioè non Nato, ha enorme bisogno per riforme di successo.
Con Vucic definito “statista responsabile” dalla Commissione europea e in ottimi rapporti con Renzi e Merkel, la Serbia fa passi avanti. Ma al leader falco e ‘quasi miloseviciano’ dei serbi di Bosnia, Milorad Dodik, non gliene importa nulla. “Mostriamo col voto che siamo capaci di affrontare ogni situazione”, ha detto.
Conquista consensi di tutti, persino il regista Emir Kusturica è andato a votare per lui. Inascoltati gli inviti di Belgrado alla prudenza, esultanza per l’appoggio di Putin. A Sarajevo il governo bosniaco non ce la mette davvero tutta per spegnere il focolaio. “Se necessario con una nostra reazione militare vinceremmo contro Dodik in 10-15 giorni”, ha detto l’ex leader militare bosniaco Sefer Halilovic. Dodik ha risposto subito: “Siamo pronti a difenderci e capaci di farlo”.
llarme nella Belgrado che Vucic proietta verso la Ue e il futuro, chiedendo di “chiudere le pagine tristi di una Serbia nazionalista e degli orrori”. Intanto tensione anche tra Serbia e Kosovo, dove ultrà filogovernativi della maggioranza albanese bruciano o fanno esplodere chiese ortodosse della minoranza serba, e poi fanno cordoni umani per impedire ai serbi del posto di andarvi a pregare. Tensione crescente di ora in ora, per ogni proiezione o risultato che arriva. E l’Europa esita a trovare risposte veloci e necessarie per evitare il peggio ai Balcani e a se stessa.
Fonte:la Repubblica, che si schiera ovviamente con l’Unione europea: http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/25/news/referendum_serbi_bosnia-148522055/
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